lunedì 27 maggio 2013

VERGOGNARSI DI ESSERE UOMINI!

VERGOGNARSI DI ESSERE UOMINI.
"L'uccisione di Fabiana Luzzi, la ragazza di sedici anni, bruciata viva a Corigliano Calabro dal fidanzato, ci aiuta a provare un sentimento nuovo: la vergogna di genere. Sì, ci si può vergognare di essere maschi. Il sacrificio di questa ragazza non è che l'episodio più recente, più odioso, di una catena infinita di violenze che hanno messo a nudo un modo di essere, malato, profondamente malato, che coinvolge troppi uomini ed una cultura. Poi c'è la politica, quella che dovrebbe cambiare le cose. E anche lì l'impegno civile che ha mosso generazioni di donne (gli uomini stanno a guardare) sembra spento. Le cose più concrete, per tutelare le donne dalla violenza degli uomini, le ha dette (in attesa dei fatti) Anna Maria Cancellieri, un generoso poliziotto prestato alle istituzioni. Per la prima volta nella storia repubblicana, alle elezioni, i cittadini hanno potuto rispettare il voto di genere, con la doppia preferenza uomo-donna, ma nessuno se n'è accorto. Non uno spot, non una campagna da civiltà-progresso. Qualcosa, forse, anche nell'impegno delle donne in politica rischia di spegnersi. Perché la corsa al potere, ad un seggio, ad un incarico, in Parlamento, in Regione o al comune, ha lo stesso segno, donna o uomo che sia. E rischia di cancellare le ragioni di un impegno. E allora cerchiamo di riaccenderle assieme queste ragioni. Per salvare delle vite. Per non arrenderci ad un paese incivile." di Daniele Bonecchi.
Concordo con chi scrive: l'ho sempre detto....peer battere la violenza culturalmente ci vogliono esempi positivi,ci vogliono pene severe, ma soprattutto donne al potere..e questa è ancora una lunga strada da percorrere, perchè, nonostante tutto gli uomini non lo vogliono e cercano in ogni modo di limitare i danni.....

mercoledì 15 maggio 2013

E MILANO CONDANNA BERLUSCONI, MA PERDONA CHI PICCHIA LE DONNE!

Milano - Le donne, quelle picchiate, violentate, perseguitate, sono da tempo sulla bocca di tutti. Bene, si dirà. Quando però chiedono giustizia, i conti non tornano.
Il procuratore Edmondo Bruti Liberati
A Milano meno che altrove. Qui più della metà delle denunce che arrivano sul tavolo della Procura merita, secondo i pm, niente di meglio dell'archiviazione. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che certi processi fanno scalpore e quindi valgono centinaia di migliaia di ore di indagini. Altri casi invece non valgono neppure l'apertura di un fascicolo.
A denunciarlo è la Casa delle donne maltrattate di Milano (Cadmi), che dal 1988 assiste le donne vittime di violenza. Gli avvocati dell'associazione hanno spulciato i dati della Procura e del Tribunale di Milano. Si sono concentrate (sono tutte donne) sui reati di stalking e di maltrattamenti in famiglia. Scoprendo una «prassi poco virtuosa»: quella di cercare in tutti i modi di archiviare le pratiche. Vediamo i numeri. Dal 2009 al 2012 le denunce arrivate in Procura per stalking sono più che raddoppiate (da 430 a 945) e non solo in virtù del fatto che il reato di atti persecutori è stato introdotto proprio nel 2009. Anche le iscrizioni per maltrattamenti sono aumentate: da 1.318 nel 2009 a 1.545 nel 2012. Che fine hanno fatto queste denunce? Sono finite per lo più nel cestino.
Decisamente ridotto è il numero delle misure di custodia cautelare in carcere chieste dai pm nei procedimenti per maltrattamenti in famiglia: nel 2012 su 1.545 iscrizioni le richieste sono state 106. Non solo. Per tutelare l'incolumità delle vittime esistono misure specifiche e più garantiste rispetto alla custodia in carcere. Ma anche queste strade sono poco battute, segno che questi reati suscitano uno scarso allarme in sede giudiziaria. La vera nota dolente per la quale le legali dell'associazione puntano il dito contro la Procura è però l'aumento «esponenziale» negli ultimi anni delle richieste di archiviazione. Per lo stalking lo scorso anno sul totale di 945 denunce le richieste di archiviazione sono state 512 e le effettive archiviazioni del gip 536. Peggio per i maltrattamenti. Le iscrizioni sono state 1.545, le richieste di archiviazione ben 1032 (circa i due terzi), di cui 842 sono state accolte. «Gli organi inquirenti milanesi - si legge nella relazione Cadmi - banalizzano e derubricano sempre più spesso la violenza domestica a semplice “conflittualità familiare”. Tale definizione, abusata e usata in modo acritico, non fa che occultare il reale fenomeno della violenza, sottovalutando la credibilità di chi denuncia i maltrattamenti». E mettendo a rischio la vita delle donne. Non c'è da stupirsi se le vittime decidono di rivolgersi alla giustizia solo in minima parte. Tre su dieci, secondo l'esperienza diretta dell'associazione. «La denuncia non appare alle donne uno strumento utile per uscire dall'incubo - sottolinea Manuela Ulivi, presidente di Cadmi - Anzi, spesso è il momento di maggior rischio per loro». Francesca Garisto, legale della Casa delle donne maltrattate, commenta questi dati «allarmanti»: «La Procura di Milano ha l'esigenza di sfoltire il carico di lavoro, le indagini richiedono risorse. E la tendenza per i reati analizzati è quella di chiedere l'archiviazione, spesso de plano, cioè senza alcun atto di indagine, anche in presenza di denunce molto dettagliate. I pm si fanno addirittura un vanto della “capacità” di archiviare molti casi. Se l'archiviazione non va in porto propongono vie alternative a quella giudiziaria, come la mediazione tra le parti. Soluzione che la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne definisce inefficace e pericolosa».
Le richieste di archiviazione per stalking a fronte di 945 casi. Il dato è relativo al 2012
Le archiviazioni 2012 per il reato di maltrattamento in famiglia. Le richieste di archiviazione sono 1.032
Le richieste di custodia in carcere per maltrattamenti in famiglia nel 2012 a fronte di 1.545 denunce
da Il Giornale di Cristina Bassi