venerdì 28 marzo 2014

LETTERA AL DIRETTORE DE IL GIORNALE

ASSOCIAZIONE ARTICOLO51
Laboratorio di Democrazia Paritaria
Iscritta Albo Regionale Lombardia Num. 424
 
 
Egregio Direttore,
Ancora una volta siamo costrette a leggere un articolo a difesa dei padri separati, addiruttura aventi il tempo e la voglia di scrivere un “manifesto” , inno al vittimismo, a firma Angelo Mellone.
Abbiamo molte volte confutato con i nostri comunicati, quanto affermato in molti articoli a difesa di detti padri separati: comunicati che non sono mai stati pubblicati, perché, si sa, le donne nonostante Pechino 1995, nonostante proclami e prese di posizione, non hanno pari accesso ai media.
Noi facciamo notizia se siamo compagne di…, Belen, escort o per gli abiti che indossiamo oppure se ci ammazzano, ci violentano, ecc….difficilmente le nostre lotte e battaglie per i diritti vengono messe in prima pagina.
Ebbene le madri separate appartengono alla categoria delle senza voce.
Se esistono 4milioni di padri separati ,esistono, anche, 4 milioni di madri separate, se 800mila sono i padri in povertà, Le assicuro che le statistiche degli Ordini Forensi, parlano di ben più alti numeri di madri separate sotto la soglia di povertà.
Il problema è che le madri separate ,non hanno tempo per costituirsi in associazione, scrivere manifesti, occupare alloggi….sono, siamo, troppo impegnate a barcamenarci tra gli spiccioli del mantenimento dei figli (la media è di 200€ mensili a figlio) non sufficienti a coprire le spese del loro mantenimento nemmeno alimentare, un qualsivoglia lavoro per noi stesse e la casa da difendere coi denti, perché la casa non è per noi madri, bensì assegnata ai figli, di cui cotanti disperati e maltrattati padri separati, non chiedono massicciamente la collocazione presso di loro come potrebbero dato l’affido congiunto, ma si limitano a vendicarsi delle madri diffondendo lo stereotipo della sanguisuga.
Le assicuro non essere così. La mia storia personale, insieme a quella di moltissime madri separate che ascoltiamo, basterebbe a smentire tutto questo assurdo vittimismo, che copre l’atteggiamento maschilista della ricerca del potere perduto.
Noi non abbiamo mai chiesto il riconoscimento di uno status, che sembra invece ora essere acquisito e che ancora una volta discrimina le donne.
Il momento è difficile e probabilmente qualche criticità esiste, dettata dalla situazione contingente, non certo dalle madri separate che sono esse stesse in grandi difficoltà, anzi la povertà in caso di separazione e/o divorzio è femminile come il sostantivo, oltre alla difficoltà per le madri di rifarsi una vita, proprio perché impegnate col quotidiano dei figli e alla cultura maschilista che vede nella donna separata un essere “usato” “vecchio”…da tenere alla larga.
Ho,devo ammettere, in maniera molto aggressiva contattato la redazione e sono, stata, quale novità, maltrattata e umiliata da chi ha risposto.
Lungi da noi dettare la linea politica del quotidiano, ma questa non è linea politica: è rispetto del contradittorio, ossia che al manifesto dei padri separati o alla pubblicizzazione delle azioni dell’Associazione lombarda padri separati ,con portavoce l’On. Salvini,si dia spazio anche al comunicato delle madri separate che il giorno dopo vi abbiamo inviato.
Vogliamo dire la nostra, semplicemente, ascoltare anche l’altra versione dei fatti, dare spazio alle statistiche e ricordare che ,prima dei padri separati, vengono le donne abusate, stalkizzate, violentate, minacciate ,in un femminicidio continuo che la pubblicazione di detti articoli alimenta gettando benzina sul fuoco di una cultura maschilista che non retrocede di un passo.
Io, personalmente, ho scoperto di essere divorziata e che era avvenuto un secondo matrimonio, solo dopo la morte del padre dei miei figli che per 11 anni mi ha stalkizzata, io e mia figlia, ottenendo ,appunto un divorzio senza che io avessi mai ricevuto una notifica. Fui sbattuta fuori casa mentre mia figlia era  a scuola e il potere economico, il de cuius era un Amm. Delegato di una importante multinazionale,  gli ha permesso letteralmente di sparire, non pagare nulla , essere totalmente irreperibile e, senza risorse economiche, io non ho potuto far nulla.
Laureata , ho rinunciato alla mia carriera per seguirlo in giro per il mondo per la sua, cresciuta anche grazie alla mia famiglia.
Eppure non ho mai chiesto nulla a nessuno.
Io ho potuto farcela ,grazie alla mia famiglia, al mio carattere, all’istruzione, ma la maggior parte di noi non possono farcela, si barcamenano nel quotidiano ed appunto non riescono ad uscire dal baratro in cui sono cadute e, impegnate a sopravvivere, non hanno certo tempo per scrivere manifesti, occupare, parlare con giornalisti.
Noi non chiediamo nulla, chiediamo solo che, se la linea “politica” del giornale ,prevede la difesa e di essere megafono per le istanze dei padri separati,  non possiamo e non pretendiamo di cambiarla,  ma ogni tanto date voce anche a noi ,ai nostri problemi, alla nostra versione dei fatti.

La ringrazio per il tempo dedicatomi.

Dott.ssa Angela Ronchini
Presidente Ass. Articolo 51 Laboratorio di Democrazia Paritaria
 
La lettera è stata pubblicata oggi questo il link:
www.ilgiornale.it/news/interni/ex-mariti-non-sono-mica-vittime-1005601.html
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mercoledì 26 marzo 2014

NON ABBIAMO LOTTATO SOLO PER DUE LETTERE VICINO AL ALTRE LETTERE!

ASSOCIAZIONE ARTICOLO51
Laboratorio di Democrazia Paritaria
Iscritta Albo Regionale Lombardia Num. 424


Alle Associazioni Femminili di Regione Lombardia

Carissime,
Nell’Aprile 2010, un gruppo di elettrici, esattamente 4, ed  Ass.Articolo 51 Laboratorio di Democrazia Paritaria, ebbero la lucida follia di impugnare innanzi al Tar la Giunta Formigoni  per un 15 a 1 non rispettoso dell’Art. 11 dello Statuto Regionale che garantiva l’equilibrio di genere nella formazione della Giunta Regionale.
Approvato dopo lotte e discussioni nel 2008, inserito nello Statuto, alla prima occasione veniva disatteso dallo stesso Governatore che lo aveva firmato.
Ad un primo scetticismo verso l’azione da parte dell’associazionismo femminile storico lombardo, poi seguirono molte adesioni ad adiuvandum.
Il primo ricorso non andò bene: il Tar Lombardia non lo respinse né lo accettò.
Semplicemente decise di non decidere, rimandando alla politica il problema.
Non ci arrendemmo e tutte insieme noi, Articolo 51 Laboratorio di Democrazia Paritaria, prime firmatarie, Donnein Quota, Usciamo dal Silenzio alcune Avvocate dell’Ordine degli Avvocati di Milano e molte altre ricoremmo in Consiglio di Stato…….ed ottenemmo una  sentenza epocale azzerando la Giunta Formigoni.
Il resto credo lo conosciate tutte.
Salutammo con gioia la Giunta Paritaria formata da nuovo Governatore Maroni, che si impegnò pubblicamente a formarla, non per obbligo,ma “perché le donne hanno una marcia in più”.
Sapevamo tutte che era solo il terrore di incappare il giorno dopo l’insediamento in un ricorso al Tar, che ha portato il Governatore a sfidare le logiche di partito della sua maschilistissima maggioranza.
Salutammo con altrettanto entusiasmo il primo Assessorato PO che mai Lombardia avesse avuto negli ultimi 18.
Ci aspettavamo grandi cose nella politica di genere da un’Assessora che era lì, volente o nolente, solo grazie ai nostri sforzi.
Abbiamo rintuzzato, in questo primo anno, ogni tentativo di attacco alla sua “poltrona” da parte di consiglieri uomini  desiderosi di nomina.....sempre in attesa di proposte,convegni, progetti…
Invece giorno dopo giorno, ci siamo rese conto che di politiche di genere e/o pari opportunità a questa Assessora poco o nulla importava. Anzi, quasi con fastidio, presenziava ad alcuni convegni pubblici, senza mai portare una sola proposta, selezionava, non si sa in base a quali criteri, 33 associazioni su 273 per l’accesso ad alcuni bandi, creava regole per soffocare l’associazionismo sociale e il volontariato, a vantaggio delle grandi associazioni e dei Comuni, rendeva quasi impossibile l’iscrizione all’Albo preposto chiedendo PEC, firma digitale ,telefoni e sedi specifici, target……..e chi più ne ha più ne metta.
Ed allora, in vista di quello che pensavamo fosse un incontro coi cittadini e le cittadine, per il tagliando alla giunta, abbiamo scritto al Governatore Maroni, chiedendo un incontro per esprimere le nostre perplessità, la nostra delusione, il suo intervento perché l’Assessorato PO diventasse un vero Assessorato e non solo una sigla accanto a Casa ed Housing Sociale.
Non ha nemmeno risposto, il Governatore ed oggi alla vergognosa kermesse auto incensante nomata “Dillo alla Lombardia”, abbiamo visto l’Assessora Bulbarelli portare a rappresentanza del tavolo tematico il Presidente degli Industriali di Brescia, che ha parlato di edilizia, lavoro, PMI e, poi, fatto un breve accenno, in un contesto avulso e fuori logica, al tavolo del contrasto alla violenza.
Nessun accenno alla legge elettorale regionale, al rispetto della Legge 120 , alla legge 215, alle strategie per favorire il voto per le donne alle prossime amministrative.
L’Assessora nel suo brevissimo intervento, a sua volta, ha parlato di ALER e famiglia. Null’altro.
Abbiammo, immediatamente, chiamato la segreteria del Governatore insistendo per un incontro e declarando le nostre rimostranze.
Una ,poco gentile, segretaria ci mette in attesa e, indovinate un po’?, ci trasferisce all’assistente dell’Assessora che stavamo contestando.
Ci siamo sentite prese in giro, abbiamo salutato e chiuso la comunicazione.
Siamo contrarie, per principio, alla guerra delle donne alle donne, guerra che giova sempre e soltanto agli uomini, siamo fervide sostenitrici del principio che al momento dobbiamo  militarmente “occupare” le posizioni, combiattiamo per la quantità, certe che ad essa seguirà la qualità, il merito e la competenza non vengono mai richeste agli uomini, abbiamo difeso donne imbarazzanti al grido di “un uomo in meno”, ma proprio per questo dalle donne che raggiungono i luoghi del decidere, dobbiamo pretendere che facciano gli interessi delle donne e ,rimandando l’ascensore a terra, lo facciano ripartire con altre donne occupandosi di politiche di genere.
Ed allora, inevitabilmente, dobbiamo pretendere di più: ci spiace, ma dobbiamo fare la differenza, dobbiamo segnare il cambiamento, anche se questo deve passare per la messa in critica di una di noi.
Doloroso, ma necessario al fine di quella occupazione delle posizioni che sembra non venire mai, perché le prime nemiche di noi stesse siamo….noi stesse.
Ci rendiamo immediatamente ricattabili, una volta ottenuta la nomina, non guardandoci mai alle spalle e facendo sempre e solo gli interessi degli uomini.
Dobbiamo avere il coraggio della critica: solo così opereremo quel cambiamento che vogliamo e che ci è dovuto.
Per questo, senza non poca sofferenza e tormento,ma certe che la differenza di genere è anche questo, chiediamo a quante tra di voi non condividano l’operato dell’Assessora Bulbarelli in materia di PO, di unirsi a noi e sommergere il Governatore con mail e fax di disappunto.
Abbiamo lottato due anni ,non possiamo permettere che nulla cambi e che ancora una volta le donne lombarde non abbiano rappresentanza in Giunta, perché politiche di genere non vuol dire sempre e solo contrasto alla violenza o conciliazione lavoro-famiglia, politiche di genere vuol dire innescare sinergie e interazioni con tutti gli assessorati per poter applicare quella prospettiva di genere, il famoso mainstreaming, non ancora completamente e massicciamente applicato, poiché il genere fa la differenza ,è la differenza, dalla sanità alla ricerca universitaria, dalla casa ai tempi della città e della politica, dal welfare alle tutele sociali e sindacali, dall’arte alla scuola……
Ci auguriamo siate in molte a condividere questo nostro sentire, questa nostra iniziativa spontanea non contro una donna,ma per le donne ,nata dalla nostra frustrazione di non avere, ancora una volta, voce e possibilità di essere il cambiamento , di operare un rinnovamento tangibile con le donne e per le donne, anche in questa Giunta Paritaria che noi tutte, con sforzo e superando i nostri spazi ideologici, abbiamo voluto: per contare, per cambiare, per essere quel valore aggiunto che meritiamo di essere!
Angela Ronchini
Presidente Ass. Articolo 51 Laboratorio di Democrazia Paritaria
Tel. 0284174602
Cell. 3349455338
Fax 0242101943
 Milano  21 Marzo 2014


domenica 9 marzo 2014

NON VOGLIAMO UNA GUERRA CIVILE........

di Barbara Stefanelli da La27esima ora




Non vogliamo una guerra civile tra i generi. Non la vogliamo oggi, che è l’8 marzo per un’inedita coincidenza tra calendari festivi e agende parlamentari, e non la vogliamo per i prossimi 364 giorni. Usciamo dunque subito da ogni contrapposizione ideologica e proviamo a farci una domanda semplice: la parità uomo-donna alla Camera, prevista da alcuni emendamenti alla legge elettorale, è una forzatura inaccettabile o potrebbe rivelarsi una spinta per l’Italia?
Noi non abbiamo dubbi. La qualità futura della nostra democrazia — e del nostro vivere insieme — passa da una partecipazione attiva delle donne alla vita pubblica. Perché non è solo questione di principi e diritti. Ma di scelte e comportamenti: quelle «buone pratiche» che migliorano la società.
Partiamo da qui.
E dalla considerazione che, oltre all’articolo 3 contro ogni discriminazione, la Costituzione con l’articolo 51 sollecita «appositi provvedimenti» per promuovere pari opportunità nelle assemblee elettive. Non esiste una traduzione automatica, univoca, di questa indicazione che tuttavia ha carattere precettivo. La proposta — avanzata da un fronte di parlamentari (soprattutto donne, ma non solo) indipendenti da partiti o gruppi — è di stabilire un’alternanza di genere nella composizione delle liste e di dividere a metà i posti di capolista.
L’obiezione è quella del merito: Thatcher e Merkel non hanno avuto bisogno di quote. È la stessa che venne sollevata quando si discusse di quelle norme che dal 2012 impongono un graduale aumento delle donne ai vertici delle società quotate in Borsa. Vediamo allora come è andata nelle aziende che hanno applicato la legge Golfo-Mosca. Una legge — vale la pena ricordarlo — destinata a restare in vigore fino al 2022. Il tempo di attivare un circuito, diretto e indiretto, di equità.
Il primo effetto, naturalmente, è stato quantitativo. Siamo passati dal 6 al 18%. Cerchiamo però di capire se c’è stato un balzo anche qualitativo per le imprese coinvolte. Studi dell’università Bocconi, che fa un monitoraggio costante, dimostrano che nelle posizioni di leadership è scesa l’età media e si è alzato il livello di competenza. In generale, nelle aree aziendali dove più forte è la diversità — la famosa diversity — i risultati sono migliori. Cosa è successo? Che l’aumento di trasparenza e competizione nella selezione ha innescato meccanismi virtuosi: non solo per le donne.
Ma la politica, si dice, è un’altra storia… Davvero è così? Nel 1993 passò una legge, poi abrogata, che stabiliva una rappresentanza di genere «non inferiore a un terzo degli eletti». Si fece in tempo a votare in alcuni Comuni. Il risultato — facile da confrontare con altre città — è che quel terzo obbligatorio mise in moto un ripensamento della classe dirigente locale: più investimenti nel sociale e nei servizi; meno corruzione.
La verità è che buone leggi si rivelano sempre buone medicine. Vanno assunte quando il sistema — il corpo democratico, in questo caso — ne ha bisogno. Se fossimo in Finlandia, dove le donne in Parlamento sfiorano il 45%, non cercheremmo rimedi. Ma siamo in Italia e non ce la passiamo bene quanto a divari di genere (restiamo 71esimi su 134 Paesi analizzati). L’Italia è il Paese dove meno di una donna su due ha un lavoro retribuito e l’indice di fertilità è tra i più bassi d’Europa. Questi due dati da soli raccontano che qualcosa deve cambiare. Serve una cura, per tutti.

venerdì 7 marzo 2014

ITALICUM E PARITA' DI GENERE

La lettera delle parlamentari ai leader di partito
In queste ore si sta discutendo alla Camera la nuova legge elettorale, un traguardo importante ed atteso da parte dei cittadini e delle cittadine italiane.
Siamo consapevoli dell'importanza e della necessità di approvare nuove regole che presiedano al buon funzionamento della nostra vita democratica e che definiscano la rappresentanza e l'efficienza del nostro sistema politico.
Siamo altresì convinte che non sia possibile varare una nuova legge senza prevedere regole cogenti per promuovere la presenza femminile nelle istituzioni e per dare piena attuazione all'articolo 3 e all'articolo 51 della Costituzione.
Per questo abbiamo sottoscritto in maniera trasversale alcuni emendamenti. La nostra convinzione è che l'intesa politica raggiunta possa guadagnare in credibilità e forza da una norma capace di collocare il nostro Paese tra le migliori esperienze europee.
La responsabilità della politica sta ora nel trovare una soluzione ad una questione di civiltà e di qualità della democrazia che troverebbe il favore non solo delle donne, ma di tutti i cittadini che hanno fiducia nelle nostre istituzioni e nella possibilità di renderle migliori.

martedì 4 marzo 2014

PERCHE' UNA DONNA AI VERTICI FA BENE NON SOLO ALLE DONNE, MA AL PAESE

Abbiamo letto con interesse l’articolo di Sergio Rizzo pubblicato giovedì sul Corriere. Come più volte è stato segnalato sul suo giornale, le prossime nomine delle società del Ministero dell’Economia e delle Finanze sono un importante banco di prova per la politica, chiamata a dimostrare concretamente il proprio grado di credibilità, trasparenza e responsabilità nei confronti dei cittadini. Quello che gli inglesi chiamano accountability.
Valutazione delle competenze e criteri di reclutamento chiari non sono un “libro dei sogni”. Lo scorso giugno, con il Governo Letta, una circolare ha stabilito che l’istruttoria sulle singole candidature sarà svolta dal Dipartimento del Tesoro, supportato, nel processo di ricerca e valutazione dei candidati, da due società di executive search e da un Comitato di garanzia. Sul sito del Ministero sono attualmente presenti tutte le cariche in scadenza e da rinnovare. Non è solo burocrazia ma una prassi di trasparenza e meritocrazia che apre le porte ai cittadini.
È un primo passo e crediamo che in questa direzione tanti meriti abbia la cosiddetta legge “Golfo-Mosca” (n. 120/2011) che ha certamente aumentato la trasparenza nel percorso di analisi e scelta dei curricula. Probabilmente, il ragionamento è stato: i «se proprio dobbiamo far entrare delle donne, almeno che siano brave», ma poco importa. Il nostro obiettivo non era di portare al vertice le donne in quanto donne ma di migliorare l’intero sistema, rimuovendo ostacoli e facendo sì che la selezione fosse trasparente e fondata sul solo criterio del merito.
La legge ha dato, fino a questo momento, risultati importanti: nelle società quotate la rappresentanza femminile è aumentata da circa il 6 al 18 per cento. Mentre nelle 9 società controllate direttamente dal MEF che hanno rinnovato i propri organi sociali dopo l’entrata in vigore della legge la percentuale delle donne è arrivata al 25,6 per cento. Non solo: ricerche ancora in corso documentano un generale efficientamento dei Consigli di Amministrazione e una maggiore trasparenza nelle nomine.
Quella che abbiamo davanti, dunque, è un’occasione enorme: per le donne, che possono finalmente mettere alla prova dei mercati le loro qualità – e magari, vincendo sui mercati, far vincere il Paese – , per la politica, che può dimostrarsi all’altezza della fiducia dei cittadini, ma, in un senso più ampio, per l’intera società che ha la speranza di cominciare a essere governata da princìpi auspicabili di competenza e responsabilità. E ci auguriamo che, oltre a congruo numero stabilito dalla legge, nei CdA delle big pubbliche in scadenza le donne abbiano anche ruoli di guida e siedano nei comitati più importanti. Avere una donna Amministratore Delegato di Finmeccanica sarebbe un bel segnale e un innegabile passo avanti in una reale cultura di parità.
È nostra convinzione che il dovere di un parlamentare non si limiti all’approvazione di una proposta di legge (e dei suoi decreti attuativi!) ma consista soprattutto nel seguirne la vita e gli effetti nella società civile, attraverso azioni di monitoraggio, controllo e, se necessario, intervento. Per questo motivo invitiamo tutti a vigilare sulla corretta applicazione della legge, non solo per queste nomine ma anche per tutte quelle che saranno decise nelle tantissime società partecipate dagli enti locali. Il decreto attuativo dà facoltà di segnalazione di eventuali inadempienze a «chiunque ne abbia interesse». Oltre a una Commissione istituita presso il Dipartimento delle Pari Opportunità, si sono mosse anche altre associazioni che stanno promuovendo la legge e vigilando sulla sua corretta applicazione, tra cui la Fondazione Bellisario.
Questo significa credere nelle battaglie e portarle fino in fondo. Non tanto e non solo per le donne ma per il Paese. Se vogliamo crescere dobbiamo aprire i cancelli ai più meritevoli, dobbiamo costruire una società in cui tutti possano concorrere per il migliore dei posti e in cui il capitale umano di una donna non valga la metà di un uomo.